31 gennaio 2019
di Monica Parricchi
L’importanza del contatto con la natura per lo sviluppo dei bambini è nota sin dall’antichità, sia nella tradizione popolare che nella cultura scientifica; nella natura infatti si trova non solo un ambiente di vita, ma anche di apprendimento, all’interno del quale è possibile conoscere il mondo, sé e l’altro, crescendo nel corpo e nella mente: la natura è maestra.
Il termine ambiente ha un referente semantico molto ampio: è una parola che deriva dal latino e configura ciò che circonda, indica il complesso della realtà in cui l’uomo vive. Abitare non solo gli ambienti quotidiani ma anche la natura significa quindi vivere gli spazi ordinari, dentro e fuori dai muri, come se fossero uno spazio privato, da custodire, curare, abbellire.
Nel pensiero comune, l’ambiente e la natura sono percepiti esclusivamente come luoghi all’aria aperta, paesaggi lontani – una distesa di campi o una catena montuosa, ma non lo spazio di vita con cui si interagisce quotidianamente; il concetto di natura erroneamente si lega solo all’esterno, generalmente lontano e selvatico, “fuori” dallo spazio chiuso della casa e della scuola.
Ma anche abitare in città può essere portatore di un fuori naturale, perché la natura è ovunque: si educa a viverla anche abitando la città e osservando l’ambiente che in essa si trova. È solo una questione di sguardo e prospettiva, di una pedagogia dell’ascolto, per conoscerla attraverso l’esperienza diretta e la creatività. La natura, per un bambino piccolo che vive nel contesto urbano, è quella che è a portata di mano, in un vaso, in un terrazzo, l’albero che può vedere da una finestra o il paesaggio che si struttura camminando sul marciapiede.
Questo concetto suggerisce già come costruire primi contatti con i tempi e le forme della natura: è sufficiente una pianta di casa o un piccolo vaso in cui piantare fagioli, per avvicinare i bambini alla cura e alle diverse necessità di un microambiente vegetale, esperienza lancio per avventure in spazi più ampi.
Nella quotidianità della cultura occidentale, l’associazione dei bambini alla natura è spesso attuata attraverso i media: personaggi antropomorfi (animali, piante, rocce, oggetti) sono gli attori protagonisti di cartoni animati, fiabe e filastrocche, generalmente ambientate negli spazi della natura, dove i “non-umani” si intrattengono con umani all’interno di relazioni sociali e affettive quotidiane. Inoltre la natura è il luogo in cui si rappresentano storie di vita, in cui sono veicolate rappresentazioni culturali, storiche e sociali di epoca contemporanea.
In un volume intitolato Fuori. Suggestioni nell’incontro tra educazione e natura(a cura di Monica Guerra), gli autori hanno raccolto riflessioni e tipologie di questo legame. In esso sono categorizzate le concezioni che i bambini hanno della natura, indotte dagli adulti, che possono essere ricondotte a quattro tipologie:
- Natura come oasi di svago, spazio desiderato, opposto a quello abituale e noioso;
- Area verde minacciosa, in cui è pericoloso addentrarsi per la sua distanza e diversità rispetto alla situazione urbana, conosciuta;
- Natura come luoghi minacciati dall’uomo, oggetto di interventi di educazione, spesso teorici, su inquinamento e salvaguardia;
- Spazio selvatico, che permette esperienze diverse ed entusiasmanti, avventure spericolate e immedesimazioni in personaggi eroici.
Il termine ambiente ha un referente semantico molto ampio: è una parola che deriva dal latino e configura ciò che circonda, indica il complesso della realtà in cui l’uomo vive.

Guardando lontano, verso il paesaggio
Una delle possibili esperienze che genitori e figli possono fare insieme, per educarsi al rispetto della natura e alla partecipazione nella sua cura, è abituarsi all’osservazione della realtà circostante non solo come sfondo in lontananza, ma come parte integrante dello spazio in cui si vive e di cui occuparsi.
Il termine “paesaggio” è un vocabolo moderno, utilizzato per designare sia un territorio sia la sua immagine, la sua rappresentazione estetica; implica una “veduta”, un “panorama”, una “finestra” da cui esprimere un punto di vista. Ciò fa del paesaggio una forma complessa, sia “naturale” sia “culturale”; una “forma simbolica” tutelata anche dall’articolo 9 della Costituzione.
Il paesaggio è una specie di specchio, una porzione di natura vista attraverso uno stato d’animo individuale, e implica non solo l’osservazione della bellezza, ma la cura per la natura e per il suo contesto. Educare al paesaggio significa quindi riattivare l’abilità di guardare e ascoltare, lasciando sufficiente spazio alla sorpresa e alle emozioni, così come all’apertura verso tutte le diverse sfumature: sia i tempi di crescita e di sviluppo delle diverse componenti della natura, con riferimento ai paesaggi del passato, che l’alterità di luogo, con riferimento ai paesaggi lontani.
Occorre lavorare con i bambini per attivare le differenti modalità che hanno nel “guardare” il paesaggio e nell’attribuire valore ai luoghi, ma ha anche di sperimentare direttamente le potenzialità educative dell’inclusione attraverso una conoscenza e familiarità con i luoghi.
Paesaggio o luogo da osservare diventa perciò qualsiasi posto caricato di senso per il bambino e la famiglia: non deve essere necessariamente bello, né particolarmente artistico o storico. Il paesaggio è il volto della terra, lo specchio delle società, il teatro in cui si è contemporaneamente attori (costruttori di paesaggio) e spettatori (osservatori, ammiratori, giudici dello stesso paesaggio); la sua lettura, il suo studio, non possono prescindere da azioni concrete di cura e responsabilità apprese da bambini, vivendo e crescendo nell’osservazione e nel rispetto.
Si dovrebbe quindi fra grandi e piccini sviluppare un’educazione al paesaggio, modello che implica diverse vie di attuazione: la via sensoriale, “un’educazione della vista e dei sensi” e la via cognitiva, che ha carattere “esplorativo” e che porta a una migliore comprensione dei fattori naturali e antropici; inoltre, occorrerebbe sviluppare una gestione responsabile del paesaggio e dei suoi cambiamenti, riconoscendone anche la funzione sociale, perché il paesaggio appartiene a ogni persona così come alla cittadinanza che vive in esso e che lo percepisce, coinvolgendo e promuovendo lo sviluppo delle comunità locali.
Ecco quindi che qualsiasi attività di scoperta ed esplorazione si proponga ai bambini – dal vaso all’aiuola, dal sentiero al bosco, dalla nuvola sulla cima allo skyline urbano – ha agganci educativi. Si presta a essere usata per introdurre concetti di conoscenza, di cura e di rispetto delle diverse componenti naturali, da minerali a botanici, delle diverse responsabilità che ciascuno ha verso il patrimonio comune, ma anche spunti di immaginazione e fantasia, da disegnare e fotografare.
Il paesaggio deve quindi essere riconosciuto non solo come un oggetto di cui prendersi cura, ma deve diventare una sorta di input per giungere alle persone e favorire la crescita come esseri umani nella loro completezza, non soltanto un “oggetto” da insegnare, ma anche uno “strumento” di insegnamento, una sorta di “insegnante” esso stesso.